gestione della rabbia e psicoterapia 23 Mag 2018

BY: admin

Psicoterapia

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In terapia spesso e volentieri, anche quando il problema che presenta il paziente è un altro, si finisce con il lavorare sulla rabbia. Un’emozione intensa, spesso sentita come dannosa, ma di per sé naturale. La rabbia non è altro che uno strumento fornito all’essere umano dalla natura, sviluppato in milioni di anni di evoluzione, per rispondere ai soprusi, difendersi e sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova.

La rabbia è innata, si manifesta fin da quando si è bambini, dunque non va patologizzata e vista come qualcosa da estirpare o curare. La rabbia non va curata, soltanto incanalata nel verso giusto perché possa sprigionare la sua forza benefica.

L’emozione disfunzionale: la rabbia deviata e la rabbia autodiretta

Cosa succede, però, quando la rabbia non è viene espressa nel modo corretto? Per spiegarlo si dovrebbe risalire ai primi momenti in cui si prova questa emozione, all’infanzia. Quando un bambino subisce maltrattamenti dai propri genitori, fisici ma anche emotivi, tra i tanti sentimenti prova anche una genuina rabbia. Un sentimento che, nel caso di genitori maltrattanti, viene pesantemente sanzionato: se il genitore picchia, picchia più forte, se umilia, l’umiliazione aumenta di grado e così via. Il bambino così è inevitabilmente portato a bloccare la rabbia che prova nei confronti dei genitori, a soffocarla o, per meglio dire, deviarla su altri soggetti.

La rabbia deviata dai suoi destinatari originari, che sono la causa primaria, va a scaricarsi principalmente verso i pari (fratelli, compagni di gioco) e, ovviamente, su chi non è in grado di difendersi, cioè i subalterni. Così nascono anche fenomeni di bullismo.

L’altra faccia della rabbia deviata è la rabbia autodiretta, sfogata cioè su sé stessi nelle forme più varie. Si va dallautolesionismo vero e proprio, con tagli sul corpo, all’abuso di droghe e alcool, ad atteggiamenti autolesivi in forma meno evidente, come le corse in automobile a tutta velocità. La personalità che si costituisce ha delle caratteristiche tipiche: un forte super io giudicante, interiorizzato fin dall’infanzia, la tendenza a sottomettersi all’autorità e, allo stesso tempo, un’aggressività pronta a esplodere alla minima sollecitazione.

In età adulta il modello si ripropone, come in un circolo vizioso che sembra impossibile rompere. Le prime vittime sono i più inermi, i figli, sui quali si proietta lo spettro dell’infanzia di maltrattamenti subita dal genitore.

C’è poi il partner che, solitamente, può attenersi a due schemi comportamentali: o si tratta di un soggetto che entra in una dimensione di dipendenza nei confronti del maltrattante, come nel caso delle donne che soffrono di dipendenza affettiva, oppure sfugge alla morsa dell’altro.

In ogni caso, il soggetto che non riesce a controllare la rabbia si fa terra bruciata intorno, rovinando tutta la propria rete di relazioni e condannandosi alla più profonda solitudine. Una situazione da cui si riesce a uscire cercando una soluzione alla rabbia che, da emozione naturale, si è trasformata in un problema.  C’è allora chi cerca corsi e gruppi di gestione della rabbia, prova magari a mettere in atto qualche strategia oppure, finalmente, si reca in terapia dove può affrontare, con il concorso di un terapeuta esperto, l’emozione violenta.

 

La terapia per la gestione della rabbia

 

Cosa accade durante una terapia per la gestione della rabbia? O meglio, quali meccanismi si innescano quando il paziente che intraprende un percorso di psicoterapia ha un problema di rabbia?

Nella maggior parte dei casi il paziente porterà la rabbia all’interno del setting terapeutico, indirizzando l’emozione verso il terapeuta. Avverrà, cioè, un fenomeno di transfert negativo che non è indice di una cattiva terapia, anche se potrebbe indurre il paziente che prova sentimenti negativi all’abbandono della psicoterapia.

Il paziente, quindi, potrebbe prendere a pretesto qualsiasi minimo evento per scaricare la rabbia, essendo vittima di una vera e propria distorsione della realtà: un gesto, una parola, uno sguardo vengono fraintesi e utilizzati per motivare un’emozione che, in realtà, ha tutt’altra origine. Il terapeuta, allora, ha il compito di aiutare il paziente a prendere coscienza che non c’è un reale motivo per essere arrabbiato, che quella rabbia è del tutto irrazionale perché viene direzionata su un soggetto che non ne rappresenta la causa.

Il terapeuta, infatti, in virtù della propria formazione specialistica, non reagisce alla rabbia, ma sospende l’agito in favore della riflessione e della comprensione dello stesso. Attraverso il dialogo e il confronto, progressivamente, il paziente è indotto a riconoscere i motivi reali della rabbia, l’origine che risiede nei maltrattamenti infantili, in quello che ha dovuto subire quando non poteva difendersi.

Si comincia anche a comprendere che la rabbia finché non viene riportata all’origine non può cessare. Può sfogarsi in moti repentini, nella violenza, nelle reazioni eccessive, ma tutto questo ha soltanto un effetto momentaneamente catartico, non risolutivo. Per “guarire” è necessario poter esprimere pienamente quella rabbia. Ciò, tuttavia, non significa che il paziente deve prendersela con i suoi genitori o che deve colpevolizzarli. La soluzione si trova nel momento in cui il paziente riesce a distinguere tra l’ingiustizia e la colpa.

I genitori maltrattanti hanno commesso un’ingiustizia nei confronti del bambino ma il figlio adulto non li condanna perché si rende conto che loro non hanno fatto altro che riproporre gli automatismi di cui sono essi stessi vittime.

I genitori spesso e volentieri hanno subito quegli stessi comportamenti da chi doveva prendersene cura, hanno introiettato dei modelli e degli schemi che hanno riprodotto nella propria vita adulta. Il paziente deve poter acquisire questa consapevolezza ed esprimere la rabbia, giusta e sacrosanta, in modo efficace, trasformandola in assertività. La rabbia così da emozione dannosa e distruttiva diventa la forza con la quale si può esprimere con decisione e chiarezza i propri bisogni e le proprie esigenze, un modo per affermare sé stessi.

Imparare a gestire la rabbia: le tecniche della psicoterapia

Durante la psicoterapia è fondamentale che il paziente possa trovare accoglienza e ascolto e che possa, nel corso della seduta, esprimere verbalmente quello che prova proprio perché, in passato, questo diritto gli è stato negato. Per imparare a gestire la rabbia è possibile utilizzare tecniche provenienti dai vari orientamenti psicoterapeutici, ricordando sempre che la via migliore è sempre quella che maggiormente si adatta alle esigenze del paziente.

Tra le tecniche di gestione della rabbia possono essere annoverate quelle che provengono dalla psicoterapia di stampo cognitivo-comportamentale. Da questo approccio si può desumere un esercizio che prevede di rievocare scene di rabbia, sotto la supervisione del terapeuta, in modo tale che un’esposizione frequente allo stimolo porti a disinnescare lo stimolo stesso, facendogli perdere forza.

Altra tecnica utile può essere tratta dalla PNL. Consiste sostanzialmente nell’immaginare una situazione particolare che abbia generato il sentimento della rabbia, proponendone però un finale diverso, provando  a elaborare una risposta più adeguata all’evento.

Infine, per imparare a fare i conti con la rabbia può risultare estremamente produttiva la tecnica dello psicodramma, uno strumento terapeutico che sfrutta la possibilità di mettere realmente in scena il proprio vissuto e che, in questo caso, consente di esprimere la rabbia all’interno di una dimensione teatrale.

Rabbia e gestione della rabbia: un’infografica riassuntiva

Riassumiamo i contenuti di questo articolo sulla rabbia e la sua gestione attraverso un percorso di psicoterapia con una breve infografica.

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