alienazione psicoterapia roma prati la fenice 20 Ott 2021

BY: admin

Psicologia

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La società in cui ci troviamo a vivere al giorno d’oggi, dominata dalla tecnologia, ci impone di specializzarci in una determinata attività. L’uomo moderno è chiamato a essere esperto, competente, focalizzato su un unico aspetto della vita. Che si parli di un operaio, di un elettricista, di un banchiere, di un avvocato o dello stesso psicologo, tutti ci troviamo a fare i conti con dei meccanismi fortemente alienanti, che ci estraniano dalla realtà circostante.

Lavorando in una dimensione sempre più focalizzata, infatti, finiamo con lo smarrire il senso generale e il significato di quello che stiamo facendo. Puntando lo sguardo su un unico elemento, non riusciamo più ad avere una visione d’insieme, integrale e integrata. Percepiamo e viviamo solo una parte del tutto, che ci sfugge continuamente.

Percepiamo un disagio, ma non riusciamo a capirne il motivo, la causa scatenante.

L’alienazione nella vita quotidiana

Il primo a descrivere questo tipo di disagio umano di cui tutti facciamo esperienza cioè l’alienazione è Karl Marx, il filosofo teorico del comunismo. Egli ne parla in relazione all’operaio che compie un’azione meccanica e ripetitiva, sempre la stessa, all’interno di una più vasta catena di montaggio di cui lui è soltanto un ingranaggio.

Pensiamo al film Tempi Moderni di Charlie Chaplin in cui questa situazione è portata alle sue estreme conseguenze. Charlot, operaio di fabbrica, costretto a passare ore e ore a stringere bulloni, con ritmi disumani e spersonalizzanti, ripetendo sempre lo stesso identico gesto, perde completamente la ragione. Verrà mandato a forza in una clinica per farlo riprendere dall’esaurimento nervoso.

Il fenomeno dell’alienazione, però, ai giorni nostri non è più soltanto limitato al lavoro né tantomeno all’ambito industriale. È facile rimanere incastrati in meccanismi di cui non siamo consapevoli, che ci impediscono di avere una visione d’insieme. Qualunque sia il mestiere che facciamo, ci sono troppi passaggi intermedi tra le operazioni che mettiamo in atto e il cibo che mettiamo in tavola.

Manca una relazione diretta tra quello che faccio per vivere e il frutto della mia fatica, ci sono dei passaggi che non vedo e non comprendo.

Ma anche se riuscissi a ricostruire l’intera catena, l’intera sequenza che va dalla mia attività di professionista (o lavoratore) al soddisfacimento dei miei bisogni più basilari, sarebbe comunque una comprensione puramente teorica e cognitiva. Non riuscirei comunque a farne esperienza a livello emotivo, non riuscirei a interiorizzare la gestalt completa.

Anche se non ne è pienamente consapevole, dunque, la persona vive un’alienazione. E questo vissuto porta con sé un profondo disagio che può trasformarsi in perdita di senso di quel che si fa, mancanza di motivazione nel lavoro, mancanza di gioia, entusiasmo, energia, voglia di fare fino ad arrivare all’umore depresso. Non solo questo disagio è inconscio, ma è anche poco considerato e trattato.

Se ne parla davvero troppo poco, anzi quasi per nulla.

Come intervenire allora contro l’alienazione?

Attività e hobby che ci sottraggono all’alienazione

Esistono alcune attività e degli hobby che hanno delle potenzialità terapeutiche e anti-alienanti. Si tratta di attività che, in qualche modo, ci consentono di vivere un’esperienza completa.

Un esempio?

Una di queste attività è il riconoscimento e la raccolta di erbe spontanee e commestibili.

Questo è un tipo di hobby che consente a chi lo svolge di essere coinvolto in prima persona in un processo vitale e naturale, svolgendone tutte le fasi, dall’inizio alla fine.

Innanzitutto, per raccogliere le erbe spontanee è necessaria una solida preparazione, un approfondito studio delle caratteristiche delle diverse piante. Si tratta di un’attività molto seria, che ha qualcosa di sacro. Saper distinguere correttamente una pianta da un’altra può significare andare verso la vita oppure condannarsi a morte. Pensiamo, per esempio, al fiore di cicuta e a quello della carota selvatica, quasi identici tra loro.

In secondo luogo, c’è la fase di esplorazione del territorio, durante la quale si osserva il terreno e si va alla ricerca delle erbe. Poi viene la fase del riconoscimento vero e proprio della pianta, a cui segue la raccolta e la prima pulitura sul campo. Una volta tornati alla base, si passa a cucinare l’erba e, infine, la si consuma.

Vediamo, dunque, come la persona ha modo di partire dall’elemento grezzo, naturale, partecipando attivamente a un processo che si apre e si chiude.

Ma questa attività risulta estremamente benefica anche per altri motivi.

Ritrovare il contatto con la natura e la madre terra

Nell’ambito della mindfulness, esistono alcune tipologie di meditazione che sono basate sul contatto con la natura. Sono meditazioni specifiche che ci consentono di percepire che siamo un tutt’uno con ciò che ci circonda, che non siamo soli ma facciamo parte di un sistema molto più grande. Possiamo comprendere questo concetto a partire semplicemente dal nostro respiro.

Quando respiriamo, immagazziniamo ossigeno, un elemento che viene prodotto esclusivamente dalle piante e senza il quale non potremmo sopravvivere. Noi, a nostra volta, emettiamo anidride carbonica che, in un certo senso, viene “respirata” dalle piante e così il ciclo va avanti.

Siamo connessi con il mondo esterno.

Attraverso questo tipo di meditazioni abbiamo la possibilità di dis-identificarci con il nostro ego e di abbandonare la convinzione di essere monadi isolate, separate dal mondo, dalla natura e dagli altri. Questo tipo di visione di noi stessi è profondamente dolorosa. Ci fa sentire un vuoto dentro, una paura inconscia che cerchiamo di colmare attraverso una serie di attività ossessivo-compulsive che non riescono mai a calmare l’angoscia che ci si agita dentro.

La natura ci dà tanto gratuitamente, ma noi lo abbiamo dimenticato. La società in cui viviamo ha molto poco di naturale e non ci permette di avvertire il contatto con la madre terra, che ci sostiene. Perdere questo contatto è depressivo. E ci induce anche a non rispettare il nostro mondo, con le conseguenze catastrofiche che ne seguono in termini di inquinamento, spreco di risorse, devastazione degli ambienti e habitat naturali etc.

Un hobby come quello del riconoscimento e raccolta di erbe spontanee e commestibili rappresenta un modo molto efficace per rientrare in contatto diretto con la natura e con i suoi ritmi. Possiamo ricominciare a sentirci parte di essa.

Inoltre, possiamo anche dire che svolgere questa attività ci consente di reperire erbe e verdure migliori rispetto a quelle che troviamo sul banco del mercato, sia dal punto di vista dei valori nutrizionali, sia per quel che riguarda il sapore.

simone ordine psicoterapeuta erbe spontanee e mangerecce

In questa immagine, il dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta del centro ed esperto di riconoscimento di erbe spontanee mangerecce, con una rosetta basale di Papavero volgare, anche detto Rosolaccio. Si tratta di una pianta commestibile, da mangiare sia cruda che cotta, che ha delle proprietà calmanti, molto utili per combattere l’ansia o l’insonnia.

Tornare alle origini: gli elementi ancestrali

Altro fattore fortemente terapeutico nell’attività di riconoscimento e raccolta delle erbe spontanee sta nella possibilità di metterci in contatto con aspetti ancestrali di noi stessi.

In che senso?

Sigmund Freud, padre della psicanalisi, diceva che il malessere psicologico di base nasce dal fatto che l’essere umano moderno, a livello genetico, è identico a l’essere umano di 10 o 20.000 anni fa. Ne condivide le pulsioni, gli istinti, i bisogni più elementari. Ma la società in cui viviamo, invece, si è evoluta e si è allontanata da quelle basi. Viviamo in un mondo in cui ci sono molte più regole e restrizioni, convenzioni a cui attenersi che snaturano il nostro modo di essere. Questo scollamento, questa distanza tra come siamo programmati e quel che ci richiede una società in cui gli impulsi sono repressi in favore della sicurezza e della produttività, causano molte nevrosi.

È importante, allora, poterci riconnettere con la parte più arcaica di noi stessi. L’attività del raccoglitore è una delle più antiche forme di sussistenza che l’uomo abbia mai messo in pratica. Un’attività che avrebbe potuto tranquillamente svolgere un nostro antenato vissuto migliaia di anni fa.

Ovviamente, questa non è l’unica attività di questo tipo per combattere l’alienazione. Anche se è una delle più complete e terapeutiche che si possano provare. Per esempio anche quella di artigianato, dove una persona può reperire la materia prima (legno) e poi lavorarla fino a ottenere degli strumenti utili per la propria casa o la propria vita, rappresenta un hobby terapeutico e anti-alienante. Molte persone hanno una passione per la raccolta dei funghi. Oppure la pesca subacquea, in cui c’è lo stesso principio.

Altre attività sono anche solo parzialmente terapeutiche fare il pane in casa, fare la pasta in casa – non si vedono tutti i passaggi, ma gran parte vengono vissuti in prima persona.

Bisogna provare perché si sente un particolare tipo di gioia. È come se si mollasse un qualche tipo di zavorra.

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