terapia di gruppo trascendere l'Ego psicoterapia roma prati la fenice 27 Nov 2021

BY: admin

Psicoterapia

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Questo articolo nasce dall’esperienza e dalle riflessioni del dottor Simone Ordine e della dottoressa Giorgiana Ciocci, psicologi e psicoterapeuti del centro La Fenice.

La terapia di gruppo, come sottolineato in diversi articoli, porta con sé numerosi benefici, soprattutto per coloro che si trovano ad affrontare difficoltà emotive e problemi di tipo relazionale:

  • Offre una base sicura attraverso il rapporto con gli altri
  • Mette a disposizione una polifonia di rispecchiamenti, che consentono di formare un’immagine più realistica di sé
  • Offre un ventaglio vasto di rimandi, chiavi di lettura, pensieri, esempi di vita relativi a diverse situazioni problematiche
  • Permette di utilizzare uno strumento estremamente efficace come lo psicodramma, che consiste nella messa in scena di vissuti, sogni, pensieri per poterli elaborare compiutamente

A questi, bisognerebbe aggiungere un fattore terapeutico che spesso rimane latente ma che risulta estremamente importante.

Detto in modo diretto: la terapia di gruppo rappresenta un varco per trascendere l’Ego.

Per capire cosa significhi questa frase all’apparenza enigmatica, dobbiamo fare un passo indietro e comprendere quali siano le radici della sofferenza.

La solitudine dell’Io

Secondo la maggior parte delle scuole sapienziali, tanto occidentali quanto orientali, la sofferenza deriva principalmente dall’identificazione con l’Ego o con l’Io.

Questo tipo di insegnamento lo vediamo, per esempio, in Gesù che continuamente ribatteva su questo punto con parole come:

“Gli ultimi saranno i primi”

Oppure

“Chi vorrà salvare sé stesso, in realtà si perderà”

O ancora

“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”

Quest’ultima frase va interpretata correttamente. Gesù non intende esaltare coloro che sono poco spirituali. La traduzione dal sanscrito dovrebbe essere, piuttosto, beati coloro che sono poveri di ego, che non si chiudono in sé stessi.

Ciò che rende ancora più forte e significativo l’operato di un maestro come Gesù è la coerenza. Ogni volta che si riferisce a sé stesso, infatti, egli sottolinea come tutti i suoi gesti e le sue azioni non vengano direttamente da lui, ma siano ispirati dal padre che è nei cieli. Gesù può essere maestro proprio perché si mette da parte, fa un passo indietro, non vuole parlare per far grande sé stesso ma per tradurre un messaggio che viene dall’alto, potremmo dire dall’universo stesso.

Questo insegnamento relativo alla trascendenza dell’Ego attraversa tutta la cultura tanto induista quanto buddhista e viene espresso in modo sublime prima dal Buddha e poi da vari grandi maestri, sia con le parole che soprattutto con l’esempio:

  • Ramana Maharshi, grande saggio e mistico indiano;
  • Nisargadatta Maharaj, il cui pensiero può essere condensato in una frase: “Il Gran Verdetto è verace, ma le tue idee sono false, perché tutte le idee lo sono”;
  • Paramahansa Yogananda, grande yogi e guru, filosofo, mistico e scrittore;
  • Jiddu Krishnamurti, il cui insegnamento si radicava nella convinzione che il contenuto della nostra coscienza è comune a tutta l’umanità.

Questo concetto è anche il perno centrale della psicoanalisi. L’ultimo dei grandi psicoanalisti, Jacques Lacan, diceva che non esiste un nucleo solido dell’Io. L’Io non è altro che un serbatoio, un deposito degli incontri che abbiamo fatto.

L’io si costituisce sulla base dell’altro.

Lacan amava anche raccontare una piccola storiella per spiegare meglio ciò che intendeva.

Diceva più o meno così: se un ciabattino si mette una pentola in testa e dichiara di essere un re, certamente è un folle. Ma un re che crede di essere un re, è da considerare ancora più folle.

Il disagio dell’uomo moderno, in parole semplici, deriva dall’identificarsi con ciò che si pensa di essere. Far coincidere noi stessi con quel magma vorticante di pensieri che ci attraversa la testa.

Questo esclude qualsiasi dimensione altra dall’io, taglia i ponti anche con la sfera dell’inconscio, costringendo l’individuo a una forte aridità mentale.

Quando l’individuo si identifica con l’Ego, cade nella falsa convinzione di essere una monade isolata, qualcosa di separato dall’universo, dal mondo, dalla natura e dalla comunità. Questa credenza lo fa sentire solo, fragile e spaventato. Ciò che lo domina è un sentimento di paura, allarme e, quindi, di rabbia.

È la percezione di un vuoto, che si tenta di colmare stabilendo relazioni di tipo narcisistico, oppure compensandolo in modo bulimico o in modo tossico etc. Tutto questo porta anche a un profondo orrore per la morte, un’inquietudine che non si può tenere a freno.

Sentirsi parte del tutto con la terapia di gruppo

Ma perché ci formiamo un’immagine simile di noi stessi?

Perché cadiamo nella trappola di un Io separato dal mondo e dagli altri?

Tutto ciò si origina in seno a una famiglia che non è in grado di trasmette al bambino l’idea di non essere solo, ma di far parte di qualcosa di molto più grande. Ciascuno di noi fa parte del tutto, è un frammento dell’universo ma alcune famiglie non riescono a passare ai propri figli questa verità profonda e importantissima.

È a questo punto del ragionamento che entra in gioco la terapia di gruppo.

Il gruppo è in grado di generare una mente collettiva che è molto più potente di quella individuale e può risolvere problemi sia emotivi sia cognitivi che la mente del singolo non sarebbe in grado di affrontare e superare da sola.

Ma soprattutto, il gruppo consente all’individuo di fare un’esperienza emotiva sostitutiva, percependo sé stesso non come qualcosa di isolato, separato da ciò che lo circonda ma come elemento e parte integrante di qualcosa di più grande, non soltanto del gruppo ma della comunità umana e dell’universo.

Uscire dalla monade dell’Ego, consente non soltanto di superare un senso di profonda solitudine esistenziale e cosmica. Permette anche di attenuare il terrore della morte e, allo stesso tempo, di rinforzare l’autostima che non si fonda tanto sulla performance ma proprio sulla possibilità di sentirsi parte di qualcosa di più.

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