fantasmi interiori 02 Ott 2021

BY: admin

Psicologia

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Tutti cerchiamo, in un modo o nell’altro, di fronteggiare i nostri fantasmi interiori, di combattere le paure che ci dominano. Spesso, però, finiamo col dare vita e forma concreta ai nostri peggiori incubi. Siamo noi stessi, in poche parole, a rafforzare i mostri ai quali vorremmo sfuggire: senso di colpa, timore dell’abbandono, bassa autostima…

A una prima impressione, tutto questo può sembrarci un paradosso o un controsenso.

Eppure è effettivamente così. E la psicanalisi ci viene in aiuto per spiegare il meccanismo che sta alla base di questo insolito processo.

Traumi e meccanismi di difesa

Pensiamoci bene. Quasi ciascuno di noi si sente in qualche modo inseguito e oppresso, come schiacciato da un persecutore fantasmatico interiore.  Questo persecutore è il modo in cui si manifestano i nostri traumi, le esperienze angoscianti e dolorose che ci hanno procurato una profonda ferita interiore.

Di fatto, quando viviamo questo tipo di esperienze, in noi scattano dei sistemi di difesa che ci consentono di far fronte a quegli elementi di sofferenza. Si tratta di meccanismi automatici messi in atto dal nostro apparato psichico per proteggerci, tanto che vengono definiti anche “meccanismi auto-conservativi”

Parliamo della rimozione, della scissione, della negazione, della proiezione etc.

Attraverso di essi, mettiamo a tacere il dolore, come relegandolo in una dimensione che è a metà tra il conscio, cioè la nostra parte consapevole, e l’inconscio, la parte sommersa e oscura, di cui non abbiamo cognizione. Ciò significa, però, che non risolviamo il problema. Semplicemente lo mettiamo da parte, lo nascondiamo a noi stessi.

Ma il fantasma è sempre lì, anche se non riusciamo a vederlo.

Tuttavia, lo sentiamo. Continuano a percepire una sensazione stressante, una forma di angoscia più o meno latente, appena al di sotto del livello della coscienza. Potrebbe manifestarsi anche sotto forma di un sintomo che ci logora: ansia, attacchi di panico, disturbi psicosomatici…

Il fantasma interiore del senso di colpa

I fantasmi interiori che ci perseguitano hanno tante forme e tante facce.

Uno dei più comuni e diffusi è il senso di colpa, qualcosa che spesso ci accompagna fin dalla più tenera età e ci tortura per tutta la vita, senza reale motivo.

Questo tipo di senso di colpa, infatti, non si genera dall’aver commesso un’azione sbagliata o un atto ritenuto immorale quanto dall’aver subito maltrattamenti da bambini.

Il bambino piccolo, infatti, ha bisogno di ricevere amore, di sentirsi accolto e protetto proprio perché è indifeso e incapace di prendersi cura di sé stesso. Se i genitori (o i care giver) non sono in grado di adempiere a questa chiamata, se non sono capaci di rispondere alle richieste del figlio in modo adeguato, il piccolo tenderà a sentirsi colpevole, penserà che quella mancanza di affetto e attenzioni dipendono da lui. Sono una sua responsabilità, non del genitore, non della madre, non del padre o di chi dovrebbe accudirlo. Questo perché, nella mente del bambino, il genitore è una figura ideale e idealizzata, sulla quale non può ricadere la colpa.

Quindi, il bambino fa sua quella colpa, la fa ricadere su di sé, col rischio di portarsela dietro per tutta la vita.

Così, nasce il fantasma.

Ma come fa questo tormento interiore a prendere forma concreta e reale?

Il fantasma interiore che si incarna: una specie di psicodramma

Possiamo dire che, a un certo punto della storia, scatta questo meccanismo: l’individuo, ormai stanco, letteralmente esausto di confrontarsi con il proprio fantasma interiore della colpa, può essere tentato (a livello del tutto inconscio) di incarnare quel fantasma. È come se volesse dargli forma concreta, portarlo sul piano reale, mettendo in scena una specie di psicodramma in cui lui interpreta davvero il ruolo del colpevole.

Seguendo questa strada, l’individuo potrebbe mettersi inconsciamente in situazioni “sbagliate”, potrebbe arrivare a commettere realmente qualcosa di immorale, in modo da dare forma alla colpa. È come se si illudesse in questo modo di poterla gestire meglio perché anziché confrontarsi con un fantasma, adesso ha di fronte la fidanzata tradita, l’amico deluso, un’ingiunzione di pagamento, una condanna del tribunale.

Non deve più avere a che fare soltanto con una sensazione informe e strisciante, ma con un persona o con un fatto concreto e questo, in qualche modo, è tranquillizzante.

Il risultato, però, è appunto quello di dare corpo al proprio peggiore incubo, al dolore che ci dilania da dentro.

Lo stesso processo può innescarsi con altri fantasmi interiori.

Se si tratta di una paura che ci accompagna in modo costante, per esempio, potremmo finire col metterci in una situazione pericolosa, in cui siamo “giustificati” se percepiamo il terrore.

Ma accade anche con il timore dell’abbandono. Si finisce col mettersi in condizione di provare davvero quell’assenza, comportandosi in modo tale che il partner ci lasci o che un amico ci volti le spalle.

E così pure per la bassa autostima. Quando ne siamo vittime, tendiamo a creare situazioni che ci confermino la pessima opinione che abbiamo di noi stessi. È il cosiddetto Effetto Pigmalione.

Ferite interiori e autolesionismo: la sofferenza emotiva trasferita sul corpo

L’esempio più eclatante di questo processo di concretizzazione dei nostri fantasmi interiori si ha in quelle persone che sentono di essere perseguitate da un dolore profondo.

Alle volte, queste persone sono tentate di trasferire le proprie ferite interiori sul corpo. È come se mimassero la sofferenza emotiva che provano dal punto di vista fisico e concreto, per cercare di riprendere il controllo su sé stesse e su quello che sentono.

Così ci troviamo di fronte al cutting o ad altre forme di autolesionismo: tagli, lesioni, bruciature che compaiono sulla pelle, impresse nella carne per dare forma visibile al dolore.

Lo psicodramma per elaborare i propri traumi

Molti sono vittime di questo meccanismo che ci induce a dare forma concreta ai nostri incubi, alle paure, ai fantasmi della psiche. Vittime perché, di fatto, ci troviamo di fronte a una soluzione incompetente, a un processo che non porta alcun beneficio reale.

Un problema psichico non può essere risolto con un’azione concreta. Il rischio nel mettere in atto questo tipo di strategia è quelli di andare in ossessione, reiterando quel comportamento all’infinito, finendo intrappolato nel meccanismo della coazione a ripetere legato al trauma.

Fin qui Abbiamo visto come, quando non riusciamo ad affrontare certi fantasmi interiori, tendiamo a metterli in scena sul piano reale. Per questo, una terapia molto efficace e potente può essere quella dello psicodramma, una tecnica che viene utilizzata nella terapia di gruppo.

Nello psicodramma, in un certo senso, si applica un meccanismo simile a quello che abbiamo visto, ma in un contesto del tutto diverso.

La messa in scena del proprio vissuto personale avviene all’interno della seduta di terapia, sotto la guida di un terapeuta esperto, un conduttore che porterà l’individuo a prendere coscienza di quel che sta accadendo dentro di lui. Gli conferirà gli strumenti necessari a comprendere il proprio incubo e i meccanismi di difesa che ha innescato. Soprattutto gli consentirà di confrontarsi in modo autentico e profondo con quel conflitto in modo da lasciarlo andare.

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