terapia emdr trattamento traumi roma prati 19 Apr 2021

BY: admin

Psicoterapia

Comments: Nessun commento

Al giorno d’oggi, si sente spesso parlare di terapia EMDR, acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing che possiamo tradurre come Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari.

Si tratta di un particolare approccio psicoterapeutico, messo a punto nel corso degli anni Novanta dalla psicologa Francine Shapiro a partire dalla propria esperienza personale. Tutto comincia nel 1979, quando Francine è ancora una giovane donna di trent’anni che sta scrivendo la sua tesi di dottorato in letteratura inglese. In quell’anno fatidico, poco dopo essersi laureata, riceve dai medici la notizia che nessuno vorrebbe sentirsi annunciare: ha un tumore.

Da quel momento, comincia a interessarsi al rapporto tra la mente e i fattori di stress esterni e a studiare in modo approfondito gli effetti dello stress sul sistema immunitario.

Viaggia molto, apprende le tecniche di meditazione, lavora su sé stessa.

Una passeggiata nel parco alla genesi della terapia EMDR

Ma l’intuizione vera arriva a quasi dieci anni di distanza, non lontano da casa, a San Francisco.

È il 1987 e Francine è seduta su una panchina all’interno del parco del campus universitario. Pensieri negativi e disturbanti le affollano la mente. Il suo sguardo si volge verso l’alto, seguendo i movimenti degli uccelli in volo. A un certo punto si rende conto che i pensieri che la stavano tormentando sono del tutto spariti e lei si sente molto più rilassata, quasi tranquilla. Inoltre, quando cerca di rievocare le immagini che aveva in testa poco prima, si accorge che quei pensieri non hanno più la carica emotiva che avevano in precedenza, non riescono più a provocarle tutto quel forte disagio che aveva sperimentato fino a pochi istanti prima.

Cosa è accaduto?

Riflettendoci, Shapiro fa caso a un dettaglio interessante. “Notai che quanto dei pensieri negativi mi attraversavano la mente, i miei occhi si muovevano rapidamente e spontaneamente avanti e indietro in diagonale. I pensieri scomparivano, e quando tentavo di riportarli alla mente, la loro carica negativa era notevolmente ridotta” racconta. I piccoli movimenti oculari a destra e a sinistra, messi in atto poco prima per seguire gli spostamenti degli uccelli, hanno a che fare con il senso di improvviso sollievo che sente.

Allora, comincia a provocare volontariamente questo tipo di situazione, ottenendo sempre quel risultato.

“A quel punto cominciai ad eseguire i movimenti oculari deliberatamente mentre mi concentravo sui vari pensieri e ricordi disturbanti e mi accorsi che anche questi pensieri sparivano e perdevano la loro carica emotiva. La mia meraviglia cresceva mentre cominciavo a vedere i potenziali effetti benefici di questo effetto” spiega Shapiro.

È la genesi dell’EMDR.

Nei giorni successivi, per verificare questa scoperta fortuita e del tutto casuale, Shapiro sperimenta il metodo EMDR con altre persone. Sembra funzionare perfettamente. Alcuni di coloro che accettano di sottoporsi a questa inconsueta forma di terapia, però, sembrano aver bisogno di una guida per compiere i movimenti prescritti. Così, la psicologa usa il proprio dito come punto di riferimento verso il quale far convergere lo sguardo, chiedendo di seguirne i movimenti e realizza così che per liberarsi dell’ansia e delle sensazioni negative non basta il movimento in sé, ma è necessario che il paziente focalizzi l’attenzione su qualcos’altro.

Terapia EMDR e traumi, dai casi lievi ai reduci del Vietnam

L’EMDR è un tipo di terapia che viene utilizzato, al giorno d’oggi, per trattare varie situazioni cliniche, dai traumi alle problematiche legate alle stress e all’ansia. Si tratta di una procedura piuttosto complessa, che può essere applicata soltanto da un terapeuta esperto e che si basa sui movimenti oculari alternati o stimolazioni destra/sinistra di altro genere in modo da ristabilire una buona comunicazione tra i due emisferi cerebrali e favorire la rielaborazione del vissuto traumatico.

Il modello teorico di base è quello dell’Adaptive Information Processing (AIP), anche definito Modello dell’Elaborazione adattiva dell’informazione, secondo il quale, all’origine della patologia c’è l’incapacità di processare adeguatamente le informazioni legate al trauma – pensieri, emozioni e sensazioni corporee. Il trauma è come una ferita che continua a sanguinare, bloccandoci nel passato e costringendoci a rivivere quell’esperienza, ancora e ancora.

Quel tipo di vissuti non sono accessibili verbalmente né sono correggibili attraverso la riflessione.

È qui che entra in gioco l’EMDR che attiva il sistema di elaborazione dell’informazione attraverso la stimolazione bilaterale. Per farlo, viene seguito uno specifico protocollo diviso in otto diverse fasi, da noi illustrato nella pagina di questo sito dedicata alla psicoterapia EMDR.

Shapiro lo mette a punto lavorando per i sei mesi successivi alla sua scoperta con un gruppo di 70 volontari.

Uno dei primi a sottoporsi al trattamento è D., un soldato reduce dal Vietnam, che ha sviluppato un forte disturbo da stress post-traumatico. Anche se l’esperienza che ha vissuto è ormai lontana nel tempo, quell’uomo continua ad esserne profondamente segnato da un ricordo che lo perseguita e gli torna alla mente. Durante una missione, gli viene assegnato il compito di scaricare alcuni corpi ormai privi di vita da un aereo di soccorso. Mentre è impegnato in questa attività, lo raggiunge un suo compagno che gli riferisce qualcosa di molto triste riguardo quei cadaveri.

La seduta comincia con la psicologa che chiede al paziente di rievocare nella sua mente in modo volontario quel ricordo, mentre – allo stesso tempo – segue con lo sguardo il movimento delle sue dita. Questo avviene per due o tre volte. A questo punto, il reduce dichiara che il ricordo si è come modificato improvvisamente. Non riesce più a sentire quel che gli dice il suo compagno, vede soltanto la sua bocca muoversi, articolando le parole, ma non ode assolutamente nulla. Proseguendo nel trattamento, è come se il ricordo traumatico sbiadisse, diventando “una scaglia di vernice sotto l’acqua”.

Il paziente adesso si sente calmo, tranquillo. E quando gli si chiede di pensare al Vietnam, quel che gli viene in mente non sono immagini dolorose, di guerra e sangue. Quel che ricorda è la prima volta che ha volato su quel paese e, guardandolo dall’alto, lo ha pensato come “un giardino paradisiaco”.

Su questo sito utilizziamo strumenti nostri o di terze parti che memorizzano piccoli file (cookie) sul tuo dispositivo. I cookie sono normalmente usati per permettere al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per generare statistiche di uso/navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare opportunamente i nostri servizi/prodotti (cookie di profilazione). Possiamo usare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti ad offrirti una esperienza migliore con noi.