percorso psicoterapia unico unicità 11 Feb 2020

BY: admin

Psicoterapia

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Uno dei primi capitoli del libro “Il dono della terapia” di Irvin Yalom tratta una questione estremamente attuale: quella della psicoterapia standardizzata, uniforme, si potrebbe dire preconfezionata e pronta all’uso per qualsiasi paziente. È una tendenza insita nella ricerca sulla psicoterapia contemporanea.

I ricercatori, di fatto, hanno la necessità di poter mettere a confronto tra loro metodi e tecniche di cura diverse per poter capire cosa funziona meglio. Ma, in questo processo, si rischia proprio di creare un modello di psicoterapia uniforme, come se si trattasse di un farmaco da somministrare a chiunque per avere sempre i medesimi effetti.

Un modello di terapia che, in buona sostanza, risulta meno efficace e come scollato dalla realtà a cui fa riferimento.

Durante un percorso di psicoterapia paziente e terapeuta stabiliscono una relazione. Il terapeuta esperto sa che questo tipo di rapporto deve fondarsi su tre elementi cardine: l’autenticità, l’accettazione positiva incondizionata e non giudicante e la spontaneità. Non è qualcosa di finto, di costruito.

Il lavoro terapeutico si basa proprio su questa relazione.

Il terapeuta spinge il paziente a parlare ed affrontare i problemi più urgenti, i sentimenti riposti, i nodi da sciogliere. Le sedute dovrebbero seguire un flusso dinamico, un percorso fatto di svolte, passi avanti, blocchi, esperienze, riflessioni sul processo stesso. In tutto questo, non c’è nulla di lineare o di precostituito. Non ci dovrebbe essere una sequenza da seguire, uno schema da applicare in modo pedissequo. Il tutto dovrebbe avvenire in modo spontaneo. Il flusso della terapia “risulta grottescamente distorto se viene impacchettato in una formula che permette a terapeuti inesperti (o a computer), e formati in modo inadeguato, di fornire una terapia uniforme” scrive Yalom.

È una presa di posizione netta contro i protocolli.

Una terapia nuova per ogni paziente

Tutto questo discorso ruota intorno a un concetto fondamentale: l’unicità di ogni individuo e del suo mondo interiore. Di fronte al rischio di un appiattimento della pratica terapeutica, Yalom propone una soluzione decisamente estrema, che si colloca al polo opposto rispetto alla terapia standardizzata.

Egli propone di tentare una terapia nuova per ogni paziente.

Quasi una terapia su misura, che si modella sul singolo. Il terapeuta deve essere in grado di far comprendere al paziente che stanno affrontando insieme questo percorso. Insieme costruiscono il rapporto, che è la chiave di volta del cambiamento, del superamento del disagio emotivo ma anche del miglioramento della propria esistenza. Le tecniche da applicare nascono all’interno di questo rapporto, dall’incontro unico e non ripetibile tra paziente e terapeuta. Non è possibile programmare in anticipo quel che accadrà nella seduta, prevedere le reazioni e gli esiti di un intervento.

Il caso di una paziente in lutto

Per spiegare ciò che intende, Yalom presenta un caso pratico, concreto. Un giorno, una sua paziente si presenta nello studio, per la seduta concordata, in uno stato di profonda prostrazione. Ha appena ricevuto la notizia della morte di suo padre. È una situazione estremamente dolorosa poiché la donna sta già affrontando il lutto per la perdita del marito, avvenuta alcuni mesi prima. Lei è completamente distrutta, non ce la fa davvero a tornare a casa per ritrovarsi di fronte la tomba del genitore, accanto a quella del fratello che ha perduto in giovane età.

I suoi sentimenti la spingono a rinunciare a partecipare al funerale.

Allo stesso tempo, però, questo desiderio di non prendere parte alla cerimonia funebre per il padre genera in lei un profondo senso di colpa. In passato, dice Yalom, questa paziente si è sempre dimostrata piena di risorse, intraprendente tanto da criticarlo per il suo voler “aggiustare le cose” per lei. Ma questa situazione specifica richiede un intervento. Qualcosa che non sta scritto su nessun manuale, che non rientra in una prassi standardizzata. Yalom decide di ordinarle espressamente di non andare al funerale, assolvendola da quel senso di colpa. Fissa la data del loro prossimo appuntamento proprio nel giorno e nell’ora della cerimonia. E poi trascorre quel tempo che hanno insieme dedicandolo ai ricordi del padre di lei. Due anni dopo, quando la terapia si conclude, è la paziente stessa a ricordare quest’episodio che le è stato molto utile.

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