Resilienza, la capacità di reggere agli urti della vita 09 Lug 2020

BY: admin

Psicologia

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La resilienza è la capacità di resistere agli urti della vita, di superare eventi fortemente stressanti e traumatici che, di solito, lasciano profonde ferite nella psiche di chi le affronta: gravi lutti, abbandoni, violenze, abusi. Nella maggior parte dei casi, chi deve confrontarsi con situazioni così pesanti a livello emotivo, ne porta i segni per tutta la vita, si ritrova spezzato, dolente, più vulnerabile ai disturbi mentali, al suicidio, a ulteriori tragedie.

Gli eventi avversi possono produrre un fortissimo disagio e condurre a sviluppare una sintomatologia fortemente invalidante. Le persone resilienti, invece, riescono a reagire in modo positivo allo shock traumatico, ad adattarsi alle avversità dell’esistenza, nonostante tutto. Il significato immediato della parola resilienza lo si comprende facendo riferimento non alla psicologia ma alla meccanica: la resilienza, infatti, è la capacità di un materiale di resistere agli urti improvvisi, assorbendo energia in modo elastico.

Non si tratta semplicemente di ottimismo, di saper sorridere alla vita. È un mix di risorse affettive, personali e relazionali a dare forma a un individuo resiliente.

La storia di Mara Palazzoli Selvini, bambina resiliente sopravvissuta all’abbandono

In un capitolo del libro “I pionieri della terapia familiare”, Matteo Selvini, psicologo e terapeuta a orientamento sistemico-familiare, propone la storia di sua madre, Mara Palazzoli Selvini proprio come “emblematica storia di resilienza”. Perché? Perché stiamo parlando di una bambina rifiutata, trascurata e dimenticata dai suoi genitori che, però, riesce a superare il trauma e a diventare una donna adulta serena.

Per capire davvero, occorre raccontare dal principio la sua storia.

È la primavera del 1916 quando Italia Faccioli, la madre di Mara, scopre di essere incinta di lei. All’epoca, nel pieno della Prima guerra mondiale, è la sua quarta gravidanza e lei non ha tempo né energie per un altro figlio. Italia, infatti, è completamente assorbita dal lavoro che svolge in qualità di amministratrice delle attività industriali e commerciali avviate dal marito, Daniele Palazzoli.

Hanno attività avviate nel commercio del bestiame, nella produzione di salumi, una catena di negozi. Un piccolo impero che deve essere mandato avanti con attenzione. Daniele ha un carattere difficile: ha il pugno di ferro, è molto autoritario, si dedica anima e corpo al lavoro da imprenditore, ma allo stesso tempo si concede spese ingenti per togliersi i propri sfizi (per esempio compra cavalli da corsa) e numerose scappatelle con altre donne.

La situazione, dunque, non è affatto semplice.

Il ginecologo a cui si rivolge Italia le consiglia di abortire, mettendo fine alla gestazione. Ma, fedele cattolica, decide di rifiutare. Tuttavia, quando Mara viene alla luce non si sente in grado di accudirla e prendersi cura di lei. Preferisce affidarla alle braccia di un’altra.

Si tratta di Rosa, una contadina che abita in un piccolo borgo sul lago di Varese e che, per la terza volta, ha visto morire il proprio bimbo appena nato. Sarà lei ad allattare Mara, a svezzarla e crescerla per quasi tre anni. Soltanto nella primavera del 1919, a guerra ormai conclusa, Mara viene portata in quella che è la sua casa natale, a Milano.

Quello, però, per lei è un luogo sconosciuto, completamente estraneo.

Così, quando arriva, si infila sotto a una scrivania, rifiutandosi di uscire. Quei volti, quelle mani che le si fanno intorno, non li riconosce. E se qualcuno le si avvicina, cercando di tirarla fuori, prorompe in grida disperate. Un giorno, dopo aver eluso la sorveglianza dei domestici, esce in strada e chiede ai passanti, in dialetto varesotto, di essere riportata dalla sua mamma Rosa.

I genitori agiscono di conseguenza. Mara viene rimandata dalla balia, accompagnata dalla sorellina più grande di 3 anni, Alba. In questo modo, sfruttando il legame tra le due bambine, la famiglia riuscirà a riportarle a casa alcuni mesi dopo. Ma il clima che si respira nella casa di Milano non è dei migliori. I figli più grandi, maschi, subiscono l’autorità paterna, sono vittime del genitore maltrattante e, a loro volta, sfogano rabbia e frustrazione sulle sorelle più piccole, in un circolo vizioso che non sembra poter essere spezzato. Italia è sempre più stanca, esaurita dal compito impossibile di tenere a bada il marito, mitigare i suoi eccessi. Daniele guadagna tantissimi soldi e altrettanti ne spende.

Lo studio e la letteratura come rifugio da una realtà di abbandono e violenza

Così, Mara cresce odiando quelli che sono i principali interessi di quel padre assente, assorbito completamente dal lavoro e dai propri hobby: gli affari e le corse di cavalli. Viene iscritta nella scuola femminile più famosa di Milano, frequentata da ragazze di ricche e nobili famiglie, gestita da suore di estrazione aristocratica. In questo ambiente altolocato, lei viene considerata la figlia del salumiere, esponente di una borghesia che ha saputo arricchirsi ma non può competere con chi ha nelle proprie vene “sangue blu”.

Le umiliazioni sono tante, ma lei si difende dando fondo a tutte le proprie energie nello studio, prendendo i voti più alti, vincendo più volte la medaglia come migliore allieva. I genitori non ci sono mai, nemmeno alle premiazioni di questa figlia così brava e dotata. Mara, di fatto, trova nello studio un rifugio, un luogo sicuro, lontano dalla violenza e dalla solitudine che vive nell’ambiente domestico. Questo è uno dei fattori di resilienza: la capacità e possibilità di scappare mentalmente in un altro mondo, che in questo caso è quello della letteratura.

Una fuga dalla realtà che non è alienazione, ma ancora di salvezza.

Il primo fattore di resilienza per Mara, però, è la presenza nella sua vita di una base sicura. “Una base sicura, per chi ha avuto la fortuna di goderne, è quella scialuppa di salvataggio che consente di alleggiare nelle tempeste della vita” scrive Matteo Selvini. La base sicura non è altro che una figura di riferimento adulta, solitamente la madre, da cui il bambino parte per esplorare il mondo intorno a sé e a cui ritorna quando si sente in difficoltà o ha bisogno di sentirsi accudito e protetto. Mara Selvini non ha avuto questo tipo di figura di attaccamento nella madre, sempre distante. Ma lo ha cercato e trovato nella balia Rosa, nei suoi occhi pieni d’amore e commozione che le hanno permesso di soddisfare, almeno in parte, quel bisogno primario di cura.

Questa è soltanto una parte della storia di Mara Palazzoli Selvini, esempio di donna resiliente. Il resto della sua vicenda al prossimo articolo.

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