vivere in modo autentico heidegger psicoterapia 29 Giu 2019

BY: admin

Psicoterapia

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La psicoterapia si pone come obiettivo il benessere psicofisico dell’individuo, attraverso un percorso che consente il superamento del disagio e la riscoperta di sé. Durante questo viaggio che paziente e terapeuta fanno insieme vengono messi in campo tanti elementi, a partire dal rapporto di fiducia e rispetto reciproci.

È evidente che il terapeuta mette in campo la propria formazione, le tecniche e gli strumenti acquisiti attraverso lo studio e l’esperienza oltre che la propria umanità, fatta di comprensione, apertura e ascolto. Ma oltre a questo, spesso, può giovarsi anche del supporto della letteratura o della filosofia, due branche del sapere umano che offrono spunti di riflessione, contenuti, suggestioni utili per la comprensione di alcuni grandi temi.

Un esempio fra tutti è la filosofia di Heidegger e, in particolare, la sua opera più famosa “Essere e tempo” all’interno della quale si può indagare il tema dell’autenticità e dell’inautenticità.

L’essere inautentico e il Si

Per Heidegger esiste una condizione propria dell’uomo in quanto immerso nella società e nella vita di tutti i giorni che, in qualche modo, lo appiattisce: è la dimensione del “Si”. In questo ambito, l’essere umano non è in quanto sé stesso, ma sta in soggezione agli altri, che gli hanno sottratto l’essere. Il Si rappresenta il conformismo, l’omologazione subita dall’individuo che si muove nel mondo in modo superficiale, nascondendosi dietro agli altri e comportandosi come ci si comporta, secondo la logica del “si dice” o “si fa”.

Scrive Heidegger “Nell’utilizzazione dei mezzi di trasporto, nell’impiego dei mezzi di informazione (giornali) ognuno è altro fra gli altri. Questo esser-‘l’un-con-l’altro’ omologa completamente il proprio esserci al modo d’essere <<degli altri>> e fa in modo che gli altri scompaiano ancora di più nella loro diversità e nella loro distinzione”. In questo modo l’individuo perde la propria autenticità e si allontana dalle responsabilità perché “non è qualcuno che debba poi rispondere di qualcosa”, segue una tendenza che lo induce a prendersela comoda.

Il Si porta verso una dimensione scadente dell’esistenza, a una perdita di profondità, di capacità di interrogarsi e mettere in discussione la realtà. È l’esistenza inautentica, che si basa su scelte già fatte da altri, significati già attribuiti, contrapposta al nostro essere autentico. Quando si vive l’esistenza inautentica, si finisce con l’essere vittima di tre grandi distorsioni: la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco.

Come scrive il filosofo, l’espressione chiacchiera non è intesa in senso dispregiativo. Non è un giudizio morale quello che viene espresso. La chiacchiera, però, è una distorsione del linguaggio che, nella sua forma autentica, serve a dischiudere verità, a spingere verso la comprensione. Nella chiacchiera il linguaggio si avvolge su sé stesso, si ripete all’infinito, nell’ovvietà.

La curiosità, invece, è una distorsione della visione in quanto strumento di comprensione. È una visione che cerca costantemente la novità, senza avere il tempo di soffermarsi, di approfondire, di andare oltre. Ciò che la segue è un’irrequietezza, una costante possibilità di distrazione, la mancanza di attenzione.

Infine c’è l’equivoco che si presenta come la commistione dei due elementi precedenti, cioè la chiacchiera e la curiosità: è la convinzione che tutto sia già stato compreso, già pronto a disposizione quando, in realtà, ci si trova di fronte a false verità basate sull’abitudine.

L’angoscia che apre all’autenticità

Come si ritorna a una vita autentica? È proprio ciò che viene indicato da Heidegger a costituire uno spunto di estremo interesse per il terapeuta.

L’antidoto a questa perdita di identità è l’angoscia. Quel sentimento profondo di inquietudine di fronte alla possibilità del nulla, della morte è ciò che recupera l’uomo da una condizione di scadimento esistenziale.

Perché?

Perché il sentimento dell’angoscia non può essere risolto con una soluzione presa in prestito dagli altri, recuperata nella dimensione omologante del Si. L’angoscia ci singolarizza, ci spinge a porci delle domande, a indagare noi stessi e a individuare la nostra propria diversità.

Il terapeuta, allora, può giovarsi di questo concetto positivo di angoscia perché accompagna la persona a capire che quello che sente dentro di sé, quell’inquietudine non va eliminata.

È un’emozione umana che va compresa e valorizzata poiché si tratta di una sorta di chiamata, un campanello di allarme che spinge a prendersi cura di sé stessi. A ritrovare il proprio sé autentico al di sotto della superficie.

 

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