importanza di entrare in contatto con il proprio mondo profondo 22 Nov 2020

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Psicoterapia

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articolo a cura del dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta

Esiste un elemento cardine che, a parer mio, accomuna tutte le pratiche e le tradizioni che si occupano del benessere dell’interiorità della persona. Parlo della psicoanalisi, ma anche delle tradizioni orientali e, potrà sembrare strano, del Cristianesimo.

Qual è questo nodo comune?

Il disagio e l’uomo senza inconscio

Per spiegarlo, partirò dalla psicoanalisi. Massimo Recalcati, riportando una riflessione di Lacan, riconosciuto come l’ultimo grande psicoanalista dopo Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, evidenzia come il disagio dell’uomo moderno derivi dal pensarsi come uomo senza inconscio. Nel suo libro “L’uomo senza inconscio” gli evidenzia come nelle varie forme psicopatologiche che si manifestano in modo sempre più prepotente e diffuso al giorno d’oggi (anoressia, bulimia, attacchi di panico, somatizzazioni, depressione) il soggetto dell’inconscio è come eclissato.

Non ha più un ruolo centrale, da protagonista.

L’uomo moderno entra in uno stato di disagio mentale quando rimuove l’elemento dell’inconscio e si identifica esclusivamente con il proprio io, con la superficie, gli aspetti concreti, il ruolo sociale.

Lacan riesce a spiegarlo in modo semplice: il ciabattino che si mette una scodella in testa e proclama di essere un re, senza dubbio è un folle. Ma un re che pensa di essere un re è ancora più folle.

Questo perché egli si identifica con la propria apparenza e accantona il proprio mondo interiore, profondo e oscuro, quello dell’Ombra (per dirlo con Jung) e dell’Es (per citare Freud). Quando tutto ciò avviene, quando si interrompe il rapporto con queste parti di sé che pure esistono e non possono essere cancellate, il mondo inconscio leva la propria voce per farsi sentire, protesta con forza e, talvolta, diventa così potente da esondare, manifestandosi con tutta una serie di sintomi, dagli attacchi di panico agli improvvisi risvegli notturni.

La necessità di dis-identificarsi dal proprio io

Un discorso simile attraversa i testi degli scrittori che appartengono alla Nuova coscienza emergente come Eckart Tolle, autore de “Il potere di Adesso”, ma è presente anche in tutta la tradizione buddhista e orientale in senso generale, laddove è diffusa l’idea che la sofferenza è data dal fatto di identificarsi con il proprio io. Per questo, le varie pratiche terapeutiche, tra le quali la meditazione, sono orientate a interrompere quel flusso di pensieri che costituisce il nostro io.

Si deve provare a non identificarsi con i propri pensieri e con le proprie emozioni per riuscire a entrare in contatto con l’Essere o anche con la divinità che ci abita. Le tecniche di respirazione, il concentrarsi sulle sensazioni che vengono dal corpo hanno lo scopo di permetterci di andare oltre la nostra mente che si proietta costantemente nel passato o nel futuro, per ancorarci ed essere presenti nell’Adesso.

Il messaggio di Cristo

Anche nella Bibbia e in particolare nel Vangelo, si scoprono frasi, metafore, parabole e spunti che rimandano a questo concetto. In Luca 9,24 si legge “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà” che è un’esortazione ad andare oltre sé stessi e il proprio io.

In Matteo 18,1-5, invece, si legge l’esortazione a farsi come bambini: “Se non cambiate e non diventate come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Il bambino, secondo la lettura che propongono, è l’essere umano che non ha ancora strutturato il proprio io. E ancora, in Matteo 6,24-34, possiamo leggere “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” che può stare a significare che se ci si connette all’Essere, tutte le cose contingenti arrivano per riflesso. Se, invece, si fa il percorso opposto e si cercano le cose esteriori, si finisce col perdere sé stessi.

Il dolore, il malessere, l’inferno derivano dal dare troppa importanza alla persona, all’Io.

Anche la frase “venite con me, vi farò pescatori di uomini” ha un significato molto forte, dirompente.

Pensiamoci bene.

Se io pesco un pesce e lo tiro fuori dall’acqua, quello muore. Se pesco un essere umano e lo tiro fuori dagli abissi, lo salvo. Questo perché l’animale messo in ciò che è, sta bene. Non sente l’inquietudine che caratterizza l’esperienza umana. Lasciato a sé stesso, si trova in equilibrio, non ha bisogno di altro. L’uomo, invece, ha bisogno di trascendere ciò che è per trovare la pace. Questo si spiega facendo riferimento ad alcuni concetti espressi da Sartre. Il filosofo francese spiega che nell’essere umano, l’esistenza precede l’essenza mentre negli animali e nelle cose accade il contrario cioè l’essenza precede l’esistenza. Gli animali hanno l’istinto che li guida. L’uomo, invece, non ha una definizione a priori, è esiliato dall’istinto.

Prima viene al mondo e poi scopre chi deve essere.

Chiudiamo il cerchio tornando alla sfera psicoanalitica. Jung dice che l’uomo dovrebbe avere una visione del proprio sé inteso come insieme di ciò che siamo al di là della sola sfera cosciente.

Il senso della salute psichica è nutrire e rendere completo questo sé, integrando le varie parti.

In definitiva, qualsiasi terapia consiste in questo. Quando la persona entra nella stanza di terapia, porta con sé problemi che non riescono a essere superati perché lei o lui si identifica con ciò che pensa e vede di sé.

Il terapeuta, allora, deve essere in grado di mettere la persona in contatto con sfere che vanno al di là del suo io.

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