psicoterapia vangelo interiorità spiritualità gesù 10 Lug 2019

BY: admin

Psicoterapia

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La psicoterapia, intesa come percorso di riscoperta di sé oltre che di risoluzione del disagio, può attingere da molte fonti per spiegare i meccanismi sottesi all’agire umano. Spesso si usa la filosofia, come nel caso del tema della cura o quello della vita autentica trattato da Heidegger. Oppure si fa riferimento alla letteratura come per 1984 di George Orwell in cui si intravede il tema della ferita feritoia.

La psicoterapia può persino dialogare con il Vangelo e la religione, trovando interessanti spunti di riflessione e punti di contatto. Quella che segue è l’interpretazione del dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta del Centro di psicologia e psicoterapia La Fenice.

La necessità di prendersi cura dell’interiorità

Secondo questa lettura del Vangelo, Gesù può essere identificato come primo terapeuta, in grado di indicare la necessità all’altro di cercare qualcosa in più, di guardare oltre la superficie per esplorare l’interiorità. Per vederlo in questa prospettiva è sufficiente leggere il capitolo 4 del Vangelo secondo Giovanni.

È il momento in cui Gesù passa per la Samaria, in viaggio verso la Galilea.

Si ferma vicino a un pozzo e quando vede una donna avvicinarglisi le chiede dell’acqua. Lei si meraviglia, poiché Giudei e Samaritani non sono in buoni rapporti. Ma la risposta di Gesù batte su un altro punto. Se lei conoscesse chi ha davanti, gli avrebbe domandato di bere l’acqua viva.

La donna appare confusa: Gesù non ha un secchio, non può attingere dal pozzo. Eppure quando gli oppone questi argomenti, Gesù le risponde che chi beve di quest’acqua, avrà di nuovo sete mentre chi beve dell’acqua che lui stesso gli darà non avrà mai più sete. Anzi quella stessa acqua diventerà una sorgente d’acqua che zampilla verso la vita eterna.

Tutto questo, alla luce della psicoterapia, può essere letto in modo particolare.

Bisogna evidenziare, infatti, come tutte le nevrosi ossessive nascono da un’incomprensione. Chi ne soffre cerca di risolvere un problema interiore, un conflitto psicologico, attraverso operazioni concrete.

Così la persona che si sente sporca si lava e sfrega continuamente le mani, causandosi anche dermatiti legate ai lavaggi troppo frequenti.

La persona che avverte dentro di sé un vuoto cerca di riempire sé stesso mangiando a dismisura, arrivando a sviluppare dei disturbi alimentari. Non semplici disfunzioni di natura organica ma vere e proprie malattie d’amore.

La persona che ha una bassa autostima e scarsa considerazione di sé cerca costantemente di ottenere successi, superare traguardi, guadagnare l’approvazione altrui in campo lavorativo, sociale, sportivo. Senza che la sua autostima ne possa trarre alcune beneficio effettivo.

Sono tutte operazioni esteriori, azioni che non consentono di superare il disagio provato a livello emotivo. Bisogna andare in profondità.

Questo è proprio quello che si comprende anche dalle parole di Gesù che cerca di aprire gli occhi alla donna samaritana: un conto è la materia, un conto è lo spirito. Soltanto l’acqua viva, la cura dell’interiorità, può placare davvero la sete.

Questo è ancora più evidente nelle relazioni affettive. Finché non riesco ad amare me stesso, finché non raggiungo un livello adeguato di autostima e trovo un saldo centro, cercherò sempre relazioni tossiche. Andrò alla costante ricerca di chi mi rifiuta o mi maltratta, confermando la scarsa opinione che ho di me stesso. La soluzione può essere trovato proprio attraverso la psicoterapia, con il lavoro di transfert e un’esperienza emotiva sostitutiva che mi restituisce a me stesso.

Le tentazioni del terapeuta: il rischio di non aiutare

Anche il tema delle tentazioni nel deserto può prestarsi a una lettura utile per la psicoterapia.

Tre sono le tentazioni a cui viene sottoposto Gesù dal demonio: quella del miracolo, quella del mistero e quella dell’autorità. Altrettante sono le tentazioni dello psicoterapeuta quando accoglie il paziente e comincia con lui un percorso.

In questo caso, vogliamo soffermarci sulla prima.

Dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, Gesù sente fame. Il diavolo tentatore gli si avvicina e gli dice: “Se sei il figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane”. Ma Gesù si oppone con la celebre frase: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Dal punto di vista della psicoterapia questa circostanza ha una doppia valenza.

Innanzitutto, ogni giorno il terapeuta deve confrontarsi con la tentazione di dare pane al posto dell’essere, di fornire una risposta immediata, una soddisfazione al desiderio del paziente. In questo modo il terapeuta scade nel ruolo di guru o santone, pronto a “fare il miracolo”, a risolvere il problema. Il paziente potrebbe presentarsi dicendo “Faccia innamorare Martina di me” oppure “Dobbiamo far stare meglio mia madre”.

Sono domande terapeutiche incompetenti, prive della consapevolezza che si acquisisce lentamente, attraverso un percorso seguito con tenacia e una buona guida accanto. Il terapeuta non deve scivolare, non deve colludere con questo tipo di domanda, dando facili soluzioni.

Inoltre, il terapeuta non può e non deve cedere al desiderio di aiutare in prima persona a risolvere un problema pratico del paziente. Non può dare il pesce anziché insegnare a pescare, per usare una metafora comune.

Se il paziente ha bisogno di stringere nuove amicizie, non può semplicemente essere il suo nuovo amico.

Se ha bisogno di un lavoro, non può cercare nella propria rubrica qualcuno a cui indirizzarlo e metterci una buona parola. Questo significherebbe prendere su di sé la responsabilità della sua cura, sostituirsi a lui nell’affrontare il problema. L’esatto contrario di ciò che dovrebbe fare un buon terapeuta.

Lo psicoterapeuta ha il compito di guidare verso la consapevolezza, non di dare ciò che manca.

Parabole e metafore per spiegare le dinamiche psicologiche

Il parallelo con il Vangelo e Gesù si compie anche nel momento in cui si considerano le parabole: si tratta, sostanzialmente, di racconti in cui l’attenzione viene focalizzata su un processo, non sul contenuto.

Per questo sono eterne, hanno valenza universale.

Racconti, metafore e immagini permettono una comprensione più profonda e immediata. Danno la possibilità di capire che, al di là del fatto concreto, c’è qualcos’altro, una dinamica psicologica che il paziente è chiamato ad afferrare.

Si può pensare a un paziente che racconti un episodio qualsiasi, accadutogli qualche giorno prima della seduta. È andato al mercato e ha chiesto una certa quantità di pesche. Ma quando il fruttivendolo gli ha dato la busta con la spesa, si è accorto che mancava qualcosa. La sua reazione è stata molto forte, forse esagerata rispetto a quel che racconta. Ma questo tipo di episodio quotidiano po’ rivelare ben altro, probabilmente ha alle sue spalle un episodio di tipo relazionale.

Ha a che fare con il ricevere meno di quello che ci si aspetta e si desidera, anche in termini emotivi.

Il terapeuta, allora, potrebbe domandarsi se la reazione avuta dal paziente deriva da altro, da qualcosa nel suo passato. E proprio attraverso metafore ed esempi può indurre il paziente a comprendere la dinamica, il processo che sta al di là del fatto.

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